TESINA ESAME DI STATO 2009/10

 

Alunno : Capasso Domenico

 

"Sviluppo ed innovazioni tecnologiche : dalla seconda rivoluzione industriale ai giorni nostri"

 

Home

Storia

Italiano

Sistemi

Informatica

Elettronica

Inglese

Matematica

ITALIANO



Italo Svevo e Luigi Pirandello , i poeti interpreti delle conseguenze e delle problematiche dell'epoca







  Il Decadentismo

  Luigi Pirandello

  Italo Svevo




Il Decadentismo

Le origini del decadentismo
Il Decadentismo ebbe origine in Francia e si sviluppò in Europa tra il 1880 e il primo decennio del Novecento. Il Decadentismo rappresenta una reazione decisa agli aspetti ideologici, morali e letterari del Positivismo.

Il termine "decadente" ebbe, in origine, un senso negativo; fu infatti rivolto contro alcuni poeti che esprimevano lo smarrimento delle coscienze e la crisi dei valori di fine Ottocento, sconvolto dalla rivoluzione industriale, dai conflitti di classe, da un progressivo scatenarsi degli imperialismi, dal decadere dei più nobili ideali romantici. Questi poeti avvertirono il fallimento del sogno più ambizioso del Positivismo: la persuasione che la scienza, distruggendo le "superstizioni" religiose, sarebbe riuscita a dare una spiegazione razionale ed esauriente del mistero della vita e avrebbe posto i fondamenti di una migliore convivenza degli uomini.

Il Decadentismo fu, prima di tutto, uno stato d'animo di perplessità smarrita, un sentimento di crisi esistenziale, che si è venuto progressivamente approfondendo nella prima metà del nostro secolo, travagliata da tragiche esperienze di guerre, dittature, rivoluzioni, e anche da scoperte scientifiche sconvolgenti.

Torna su...

La poetica
Ammessa l'impossibilità di conoscere la realtà vera mediante l'esperienza, la ragione, la scienza, il decadente pensa che soltanto la poesia, per il suo carattere di intuizione irrazionale e immediata possa attingere il mistero, esprimere le rivelazioni dell'ignoto. Essa diviene dunque la più alta forma di conoscenza, il gesto vitale più importante; deve cogliere le misteriose affinità che legano le cose, scoprire la realtà che si nasconde dietro le loro fugaci apparenze, esprimere i presentimenti che affiorano dal fondo dell'anima. Per questo è concepita come pura illuminazione. La parola non è usata come elemento del discorso logico, ma per l'impressione intima che suscita, per la sua virtù evocativa e suggestiva. Nasce così la poesia del frammento rapido e illuminante, denso, spesso, di una molteplicità di significati simbolici.

La nuova poesia non si rivolge all'intelletto o al sentimento del lettore, ma alla profondità del suo inconscio, lo invita non a una lettura, ma a una partecipazione vitale immediata. Essa si propone di darci una consapevolezza più profonda del mistero. Da questi principi sono nate molte mode letterarie, a cominciare dal simbolismo (con Pascoli), per continuare con l'estetismo(con D'Annunzio); difatti il decadentismo ha ideali nobili, che si esprimono nel gusto estetizzante.

Sul piano artistico l'estetismo si traduce nella ricerca di eleganza; l’idea della superiorità assoluta dell'esperienza estetica spinge l'artista a tentare di trasformare la vita stessa in opera d'arte, dedicandosi al culto della bellezza in assoluta libertà materiale e spirituale, in polemica contrapposizione con la volgarità del mondo borghese. La svalutazione della moralità e della razionalità, portarono, tra l'altro, ai vari miti del superuomo.



Due sono gli aspetti fondamentali della spiritualità decadentista: il “sentimento della realtà” come mistero e la scoperta di una “nuova dimensione” nello spirito umano, quella cioè, dell'inconscio, dell'istinto, concepita come precedente e sostanzialmente superiore alla razionalità. I principali rappresentanti di questo movimento furono Luigi Pirandello ed Italo Svevo.

Torna su...

Luigi Pirandello

Biografia
Luigi Pirandello nasce il 28 giugno 1867 nella villa detta Caos nei pressi di Girgenti (oggi Agrigento) da una famiglia proprietaria di alcune zolfare. Dopo gli studi liceali compiuti a Palermo, rientra nel 1986 nella sua città natale, dove affianca per breve tempo il padre nella conduzione di una miniera di zolfo e si fidanza con una cugina. Si iscrive prima all'università di Palermo, poi passa alla Facoltà di Lettere dell'università di Roma, ma a causa di un contrasto con il preside, si trasferisce all'università di Bonn, dove nel 1891 si laurea in Filologia romanza con una tesi dialettologica.

Nel 1892, fermamente deciso a dedicarsi alla sua vocazione letteraria, si stabilisce a Roma, dove vive con un assegno mensile del padre. Nell'ambiente letterario della capitale conosce e stringe amicizia con il conterraneo Luigi Capuana, che lo spinge verso il campo della narrativa. Compone così le prime novelle e il suo primo romanzo, uscito nel 1901 con il titolo L'esclusa. Nel 1894 sposa a Girgenti, con matrimonio combinato tra le famiglie, Maria Antonietta Portulano, figlia di un ricco socio del padre. Si stabilisce definitivamente a Roma, dove nascono i tre figli Stefano, Rosalia e Fausto.

Pirandello vive sempre con disagio il rapporto con la fragile e l’inquieta moglie, avvertendo il forte peso delle regole comportamentali delle radici siciliane. Inizia una forte collaborazione con diversi giornali e riviste letterarie, sulle quali pubblica una ricca e vasta produzione narrativa che trova consensi presso il pubblico. Dal 1897 al 1922 insegna, senza entusiasmo ma con grande dignità, stilistica italiana presso l'Istituto Superiore di Magistero di Roma.
Nel 1903 l'allargamento di una miniera di zolfo causa alla famiglia Pirandello un grave dissesto economico; in seguito alla notizia dell'improvviso disastro finanziario, Antonietta, già sofferente di nervi, cade in una gravissima crisi che durerà per tutta la vita sotto forma di grave paranoia. Vani saranno i tentativi di Pirandello di dimostrare che la realtà non è come invece pare alla moglie. Ma comunque Pirandello cerca di fronteggiare la disperata situazione, assistendo sempre Antonietta; per arrotondare il magro stipendio universitario, impartisce lezioni private e intensifica la sua collaborazione a riviste e a giornali. Nel 1904, grazie a Il fu Mattia Pascal, pubblicato a puntate, Pirandello riscuote un successo enorme che lo porta poi a lavorare con importanti editori del tempo.

Nel 1909 inizia la sua collaborazione, che durerà fino alla morte, al «Corriere della Sera», su cui appaiono via via le sue novelle. Scrive anche alcuni soggetti cinematografici, mai realizzati; mentre nel 1915 pubblicherà il romanzo Si gira... Nel 1915-'16 inizia la sua prodigiosa e intensa attività teatrale, che darà vita a dibattiti e discussioni in Italia e all'estero. Proprio negli anni della grande guerra, vissuti drammaticamente anche per la perdita della madre e per la partenza dei figli per il fronte, scrive alcune celebri opere tra cui: Pensaci Giacomino! , Liolà, Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli, Il piacere dell'onestà, Ma non è una cosa seria e Il gioco delle parti.

Nel 1920 il teatro pirandelliano si afferma pienamente, e a partire dall'anno successivo raggiunge il grande successo internazionale con il capolavoro Sei personaggi in cerca d'autore. Abbandonata la vita sedentaria degli anni precedenti, Pirandello vive e scrive negli alberghi dei più importanti centri teatrali sia europei che americani, curando personalmente l'allestimento e la regia delle sue opere. In questi stessi anni il cinema trae diversi film dai suoi testi teatrali e narrativi, di cui continuano a uscire ristampe e nuove edizioni.

Nel 1922 esce il primo volume della raccolta Novelle per un anno presso. Nel frattempo prosegue la sua produzione teatrale con opere come: Enrico IV, Vestire gli ignudi, L'uomo dal fiore in bocca, Ciascuno a suo modo e Questa sera si recita a soggetto. L'interprete per eccellenza delle sue scene è la "prima attrice" Marta Abba, a cui Pirandello si lega anche sentimentalmente. Nel 1926 esce in volume il romanzo Uno, nessuno e centomila, ultimo romanzo, frutto di una lunga gestazione, intessuto di interrogativi che il protagonista rivolge direttamente al lettore, per coinvolgerlo in una vicenda "universale", un riepilogo di tutta l'attività, narrativa e teatrale dell'autore.
Nel 1934 riceve il premio Nobel per la letteratura. Si ammala di polmonite, mentre segue le riprese a Cinecittà di un film tratto da Il fu Mattia Pascal. Muore nella sua casa romana il 10 dicembre 1936.

 


Torna su...

Pensiero e poetica
Il pensiero pirandelliano si fonda sul rapporto concettuale tra “Vita” e “Forma”; la Vita, per un destino “burlone”, tende a calarsi in una Forma, in cui resta fissa e prigioniera e dalla quale cerca di uscire per assumere nuove forme, senza però mai trovare pace. Dal questo rapporto tra Vita e Forma nasce il “relativismo psicologico” che si può svolgere, come sosteneva lo stesso Pirandello, in due sensi: in senso orizzontale, quando riguarda il rapporto tra l’individuo con le persone che lo circondano, mentre in senso verticale quando vi è il rapporto dell’individuo con se stesso, cioè col suo subcosciente.

Secondo Pirandello, quando l’uomo viene a conoscenza del contrasto tra la maschera e il volto, ovvero tra la forma e l’essere, può reagire in tre diversi modi : vi è infatti la “reazione passiva”, la “reazione ironico – umoristica” e la “reazione drammatica” . La reazione passiva è quella dei più deboli, che si rassegnano alla maschera o alla forma che li imprigiona, senza la forza di ribellarsi. Chi si rassegna, avverte la pena del vedersi vivere, come se i suoi gesti fossero staccati da sé ed appartenessero ad un’altra persona, e vive perciò col senso doloroso di una frattura tra la vita che dovrebbe vivere e quella che è costretto a vivere. La reazione ironico – umoristica è di coloro che non si rassegnano alla maschera,e, dato che da essa non si possono liberare, stanno al gioco delle parti; il soggetto non si rassegna alla sua maschera, ma accetta il suo ruolo con un atteggiamento ironico, aggressivo o umoristico. La reazione drammatica, infine, è di coloro che vinti dall’esasperazione, non riescono né a rassegnare e né a scherzare ironicamente della sua situazione; allora queste persone si chiudono in una solitudine disperata, che li porta spesso al dramma, ovvero al suicidio o alla pazzia.



Nel saggio “L’Umorismo”, è racchiusa la poetica di Pirandello; per lui, l’umorismo è “l’avvertimento del contrario”, che nasce nello scrittore dall’azione combinata di due forze opposte, ma complementari : il “sentimento”, che crea le situazioni della vita, e la “ragione”, che interviene e le analizza. Quando la ragione interviene per analizzare una situazione, si ha l’avvertimento del contrario, mentre quando tenta di scoprire la ragione del contrario, sia ha il sentimento del contrario. Pirandello porta l’esempio di una vecchia signora che si unge i capelli, si trucca goffamente e si veste come una giovane ragazza. La prima reazione nel vedere la vecchia signora così conciata è quella di ridere, avvertendo il lato comico della situazione, perché la vecchia è il contrario di ciò che dovrebbe essere una donna alla sua età. Questo è il momento comico dell’avvertimento del contrario. Ma poi, con l’intervento della ragione, si vuole conoscere il motivo per il quale la vecchia signora appare così goffa : la signora spera che, nascondendo col trucco le rughe e la vecchiaia, possa essere amata veramente dal marito, più giovane di lei. Questo è il momento del sentimento del contrario, perché alla comicità subentra la pietà per la situazione drammatica della povera donna e quindi alla giovinezza che col tempo vola via.

Torna su...

Relativismo psicologico orizzontale : "Il fu Mattia Pascal"
Secondo Pirandello, gli uomini non sono liberi, ma sono come tanti “pupi” nelle mani di un burattinaio invisibile e capriccioso: il caso. Quando nasciamo, infatti, ci troviamo inseriti, per puro caso, in una società precostituita indipendentemente dalla nostra volontà. Inseriti in un determinato contesto, ci assegniamo una parte nell’enorme “pupazzata”, che è la vita; ci immedesimiamo cioè in una forma, obbligandoci a seguire schemi ben definiti che accettiamo per pigrizia o per convenienza, senza aver mai il coraggio di rifiutarli.

Ma sotto l’apparenza della forma che ci siamo fissati, il nostro spirito freme per la sua continua mutabilità, perché avverte la voglia di una vita diversa, sentimenti nuovi ed impulsi che sono però in contrasto con la maschera che ci siamo imposti. A volte succede che l’anima istintiva presente in noi esploda violentemente, in contrasto con l’anima morale, facendo saltare i freni e lasciando via libera al flusso del desiderio represso. Capita allora che la maschera si spezza.

Ma anche in questo caso non vi è motivo di gioia, perché questo senso di libertà dura ben poco, dato che la realtà ed il nuovo modo di vivere ci imprigionano nuovamente in un’altra forma, e quindi ci ritroviamo imprigionati ancora una volta. E allora tanto vale ritornare alla vecchia forma, cosa che però si rivela impossibile per il semplice fatto che la realtà è in continuo mutamento.

Questo contrasto tra maschera e volto, cioè tra vita e forma, cioè tra l’apparenza esteriore e la realtà interiore della persona, è il tema ricorrente del romanzo Il fu Mattia Pascal,pubblicato nel 1904.

Pirandello scrive la storia della vita di Mattia Pascal, che dopo una gioventù dissipata, deve affrontare una vita matrimoniale che è un inferno e nella quale egli sente annullata la sua dignità di uomo. Grazie ad una fortunata vincita a Montecarlo diviene economicamente sufficiente ed apprende di essere stato identificato dai familiari nel cadavere di un suicida. Così Mattia Pascal si sforza di costruirsi un'identità nuova: cambia aspetto fisico, si dà il nome di Adriano Meis e si crea una nuova maschera. Si stabilisce a Roma in una pensione, con l’intento di vivere una tranquilla esistenza. Ma col tempo si accorge di non poter continuare a vivere nella società, senza una forma “ufficialmente riconosciuta”,senza uno stato civile ed anagrafico e un lavoro. Si accorge quindi di essere inesistente e soffre per questa sua nuova condizione che lo costringe a vivere estraniato dagli altri. Tenta di ritornare alla sua vecchia identità, ma, ritornato a casa, scopre che sua moglie nel frattempo si è risposata ed ha avuto una figlia: non gli resta altra scelta che adattarsi alla sua condizione sospesa di forestiere della vita vivendo in solitudine e con la consapevolezza di non essere più nessuno.

Il fu Mattia Pascal fu pubblicato per la prima volta nel 1904; in questo romanzo per la prima volta Pirandello, sperimenta nuove soluzioni narrative e presenta i suoi temi propri. I temi principali del romanzo sono: la trappola della società che imprigiona le persone, l’analisi dell'identità individuale e l'estraniarsi dal meccanismo sociale.

Ne Il fu Mattia Pascal Pirandello applica, sempre per la prima volta, le sue teorie sull'umorismo: la realtà, attraverso il gioco assurdo del caso viene ridicolamente alterata, suscitando il comico, ma a questo è accostata l'effettiva sofferenza del protagonista; scatta il sentimento del contrario, in cui tragico e comico sono inseparabilmente congiunti. Il fu Mattia Pascal è narrato dal protagonista stesso in forma retrospettiva; il racconto è focalizzato sull'io narrato, sul personaggio mentre vive i fatti, e non sull'io narratore che li ha già vissuti. Si ha così un punto di vista soggettivo, parziale, mutevole e sostanzialmente inattendibile ed inaffidabile, che contribuisce a dare il senso della relatività del reale.

 


Torna su...

Relativismo psicologico verticale : "Uno, nessuno e centomila"
Per Pirandello, il disagio dell’uomo non deriva solo dall’urto con la società, ma anche dal continuo mutare del suo spirito che non gli permette di conoscere bene se stesso. Dal fondo del subcosciente, infatti, affiorano sempre nuovi sentimenti che lo rendono diverso non solo dagli altri, ma anche dal se stesso di prima e da quello che poi sarà.

Proprio per il suo continuo divenire, l’uomo è nello stesso tempo uno, nessuno e centomila: è uno, perché è quello che di volta in volta lui crede di essere; è nessuno, perché, dato il suo continuo mutare, è incapace di fissarsi in una personalità nettamente definita; è infine centomila, perché le persone che lo circondano, lo vedono a loro modo, ed egli assume tante forme o apparenze quante sono quelle che gli altri gli attribuiscono. La frantumazione della persona umana costituisce il tema principale del romanzo-saggio Uno, nessuno e centomila, iniziato nel 1909 ma pubblicato solo nel 1926.

Il protagonista di questa vicenda , Vitangelo Moscarda, è una persona ordinaria, che ha ereditato da giovane la banca del padre e vive di rendita affidando a due fidi collaboratori la gestione dell'impresa. Un giorno, tuttavia, in seguito alla rivelazione da parte della moglie Dida di un suo difetto fisico, il naso leggermente storto, inizia a scoprire che le persone intorno a lui hanno un'immagine della sua persona completamente diversa da quella che lui ha di sé. È la consapevolezza di essere presente nelle persone intorno a lui in centomila forme differenti che accende il desiderio di distruggere queste forme a lui estranee, con l'obiettivo di scoprire il vero sé stesso. Inizia, quindi, ad agire con il fine di strappare queste immagini sbagliate di sé che sono nelle persone. Il protagonista arriverà alla follia, che non è considerata in modo negativo, ma è considerata come un momento in cui, sospesi tutti i comportamenti prima automatici, la facoltà percettiva riesce ad allargarsi e vedere il mondo secondo nuovi punti di vista.

Quella di Vitangelo Moscarda è la storia di una consapevolezza che si va man mano formando. La consapevolezza che l'uomo non è Uno, e che la realtà non è oggettiva. Il protagonista passa dal considerarsi unico per tutti (Uno) a concepire che egli è un nulla, (Nessuno), passando alla consapevolezza di se stesso che l'individuo assume nel suo rapporto con gli altri (Centomila). Vitangelo Moscarda arriva alla conclusione che per uscire dalla prigione in cui la vita rinchiude, non basta cambiare nome, ma bisogna rifiutare ogni nome, inteso come la rappresentazione della forma di una cosa, la sua parte statica. Proprio perché la vita è una continua evoluzione, il nome rappresenta la morte. Dunque, l'unico modo per vivere in ogni istante è vivere attimo per attimo la vita, rinascendo continuamente in modo diverso.

I due romanzi Il fu Mattia Pascal e Uno, nessuno e centomila hanno come differenza il fatto che il primo vi è l’idea di relativismo psicologico orizzontale, perchè è incentrato sul rapporto di Mattia con la realtà e la società che lo circonda; nel secondo romanzo, invece, vi è un relativismo psicologico verticale, proprio perché è incentrato sul ripiegamento in se stesso di Vitangelo Moscarda.
In comune i due romanzi hanno il senso della solitudine dell’uomo moderno, in un mondo alienante ed estremamente mutevole, incomprensibile e spesso assurdo.

 


Torna su...

Il teatro
Pirandello divenne famoso proprio grazie al teatro che chiama “Teatro dello specchio”, perché in esso viene raffigurata la vita vera, quella nuda, amara, senza la maschera dell'ipocrisia e delle convenienze sociali, di modo che lo spettatore si guardi come in uno specchio così come realmente è, e diventi migliore.
Scriverà moltissime opere, alcune della quali perfezionamenti delle sue stesse novelle, che vengono divise in base alla fase di maturazione dell'autore: prima, seconda e terza fase.

Nella prima fase, quella del “Teatro Siciliano”, Pirandello è alle prime armi e ha ancora molto da imparare. Anch'essa come le altre presenta varie caratteristiche di rilievo e in questo caso abbiamo il fatto che esso è scritto tutto, interamente in lingua siciliana perché considerata dall'autore più viva dell'italiano ed esprime di più l'aderenza alla realtà.

Mano a mano che l'autore si distacca dal verismo e si avvicina al decadentismo si ha l'inizio della seconda fase con il teatro umoristico con numerose stravaganze; infatti Pirandello presenta personaggi che rompono le certezze del mondo borghese introducendo la versione relativistica della realtà. Lo scopo del drammaturgo è quello di denudare Le Maschere. Lui stesso definirà il suo teatro “Teatro dello specchio”, perché rappresenta la vita nuda con le sue realtà, dove si ci riflette con una maschera che nasconde l'ipocrisia e tutti gli aspetti delle persone.

Nella terza ed ultima fase, quella del “teatro nel teatro” (metateatro) le cose cambiano radicalmente, per Pirandello il teatro deve parlare anche agli occhi non solo alle orecchie, e proprio per questo utilizza la tecnica del palcoscenico multiplo, in cui vi può per esempio essere una casa divisa in cui si vedono varie scene fatte in varie stanze contemporaneamente. Pirandello abolisce anche il concetto della quarta parete, cioè la parete trasparente che sta tra attori e pubblico: in questa fase, infatti, Pirandello tende a coinvolgere il pubblico che non è più passivo ma che rispecchia la propria vita in quella agita degli attori sulla scena.

Torna su...

Italo Svevo

Biografia
Ettore Schmitz, alias, Italo Svevo nasce nel 1861 a Trieste da madre ebrea e da padre tedesco, agiato commerciante nel settore vetrario, viene messo in collegio in Germania e si appassiona alla letteratura tedesca. Tornato in Italia a 17 anni per completare gli studi, si iscrive all'Istituto superiore di commercio di Trieste. Nel 1880, in seguito al fallimento dell'industria paterna, abbandona gli studi e comincia a lavorare come impiegato di banca, dove resterà vent'anni, ma nelle ore libere dal lavoro si dedica allo studio del violino e, soprattutto la notte, a scrivere.

Nel 1892 pubblica a sue spese il romanzo “Una vita” con lo pseudonimo Italo Svevo, pseudonimo che accosta le due culture e le due lingue dell'autore il tedesco e l'italiano; il libro guadagna qualche segnalazione, ma passa sostanzialmente inosservato. Nel 1896 sposa una cugina, Livia Veneziani, figlia di un ricco industriale e l'anno dopo nasce la figlia Letizia. Nel 1898 esce il secondo romanzo, “Senilità”, sempre a spese dell'autore ed inosservato come il primo.

Nel 1899 entra come socio nella ditta commerciale del suocero di cui assume poi la direzione e per lavoro risiede a lungo in l'Inghilterra, Francia e Germania. Nel 1906 s'iscrive in una scuola per migliorare il suo inglese, che gli è necessario nei rapporti di lavoro, e conosce un insegnante irlandese eccezionale: James Joyce, che diventerà poi suo amico e che giudicherà positivamente i suoi romanzi.

Fra il 1908 e il 1910 Svevo legge Freud e si interessa di “psicoanalisi”, e nel 1919 inizia a scrivere “La coscienza di Zeno” che viene pubblicato, sempre a spese dell'autore, nel 1923. L'anno dopo Joyce, che si è trasferito a Parigi e che è entusiasta del libro, ne parla ai suoi amici e così Svevo diviene famoso anche in Francia. Nel 1927 La coscienza di Zeno viene tradotto in Francia e Svevo si batte per l'affermazione dei primi due romanzi. A seguito di un incidente stradale, Italo Svevo muore nel settembre del 1928 a Motta di Livenza, Treviso.

L’importanza di Svevo è dovuta soprattutto all’ambiente in cui si formò, Trieste, che ai suoi tempi era un vero e proprio “crocevia” della cultura italiana e della cultura mitteleuropea, germanica e slava. Questo fece di Svevo lo scrittore più antiletterario del Novecento italiano, più attento a recepire e a rielaborare i motivi profondi della moderna cultura europea e a scrutare i meandri tortuosi del subcosciente che a sperimentare le nuove mode letterarie italiane.

 


Torna su...

Pensiero e poetica
Le opere di Svevo sono sostanzialmente costituite da tre romanzi; i primi due, Una vita (1892) e Senilità (1898), pubblicati a spese dell’autore, furono quasi del tutto ignorati dal pubblico. Dopo venticinque anni di silenzio, nel 1923, Svevo pubblica ancora una volta a sue spese il suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno, che gli procurò un’improvvisa notorietà.
I tre romanzi sono idealmente molto simili tra loro, perché hanno una tematica comune che consiste nell’analisi ossessiva e spregiudicata del subcosciente dei protagonisti.

Per far si che questa analisi potesse divenire più concreta, Svevo si servì della psicanalisi di Sigmund Freud. Freud insegnava che molte nostre azioni solo apparentemente sono delle libere scelte; ma in realtà sono condizionate da complessi psichici formatisi spesso nel passato, specialmente durante il periodo infantile, o magari ricevuti in eredità . Perciò, solo frugando nei meandri tortuosi ed oscuri del nostro io, possiamo cogliere le ragioni e i motivi più profondi di molte nostre azioni.

Svevo fu tra i primi scrittori ad introdurre nella letteratura la psicanalisi cono uno strumento di conoscenza scientifica della nostra più profonda realtà interiore, operando una vera e propria rivoluzione copernicana del romanzo. L’attenzione dello scrittore non è più rivolta a fatti esterni, caro ai scrittori, ma ai fatti interni, all’esplorazione dei labirinti contorti del subconscio.



Negli anni dell'elaborazione della Coscienza di Zeno, la letteratura è da lui concepita come recupero e salvaguardia della vita. L'esistenza vissuta viene sottratta al flusso effettivo del tempo. Soltanto se l'esistenza sarà narrata o letteraturizzata sarà possibile evitare la perdita dei momenti importanti della vita e rivivere nella parola letteraria l'esperienza vitale del passato, i desideri e gli stimoli che nella realtà sono spesso repressi e soffocati.

I temi principali nelle opere di Svevo sono: la malattia, l’inettitudine dell’uomo, la scrittura come mezzo di salvezza, la morale e la psicanalisi. Per quanto riguarda, poi, il modo di scrivere di Svevo, la sua prosa risulta molte volte arida e antiletteraria; egli si serve spesso del linguaggio parlato, del gergo tecnico ed impiegatizio, proprio per rendere anche più semplice al lettore la comprensione dei suoi scritti.

Torna su...

Il primo romanzo : “Una vita”
“Una vita” è il romanzo d’esordio di Italo Svevo. L'opera fu iniziata nel 1887, ma pubblicata a spese dell'autore solo nel 1892.

Ne è protagonista Alfonso Nitti, un giovane colto, ma economicamente disagiato, che dall’amato paese natale si trasferisce in città per lavorare presso la banca Maller. Qui la nostalgia della campagna lo assale, mentre il lavoro in banca si fa sempre più duro, carico di responsabilità ed avaro di soddisfazioni. Saranno solo i primi incontri in casa Maller, dove Alfonso si reca timoroso, a rendergli la vita meno triste. Lo farà soprattutto l’amicizia ambigua ed altalenante che nascerà con la figlia del principale, Annetta, la quale proporrà ad Alfonso la stesura di un romanzo. Gli incontri con la giovane diverranno molto frequenti, mentre l’amore del protagonista nei confronti di Annetta crescerà, rendendo il loro rapporto più stretto nonostante l’apparente freddezza della ragazza.

Tuttavia, la lunga malattia e la successiva morte della madre di Alfonso divideranno i due per un lungo periodo, al termine del quale il protagonista farà ritorno in città scoprendo una situazione fatale per il suo fragile equilibrio: Annetta, infatti, si è fidanzata con il cinico cugino Macario. Nonostante i propositi di rinuncia, il protagonista tenta di instaurare un legame con la ragazza chiedendole un ultimo appuntamento. Al posto della giovane, però, si presenta il fratello di Annetta, Federico Maller, il quale da sempre si era dimostrato ostile nei confronti del protagonista e della sua relazione con la sorella. Maller provoca Alfonso fino a risolversi di sfidarlo a duello, scontro al quale Nitti si sottrae, nauseato, scegliendo come estrema soluzione il suicidio.

Il primo romanzo sveviano risente di una certa rigidità ma anche, in alcuni casi, di una scarsa finezza linguistica: sono ben noti, d'altra parte, gli iniziali problemi dell’autore con la scrittura in lingua italiana e l' accusa di scrivere male, frequentemente rivoltagli dalla critica.

Alfonso Nitti è un uomo solo, scisso dalla società in cui vive ed in particolare dal mondo cittadino che lo accoglie con tutta la sua freddezza ed al quale il giovane oppone una progressiva introversione. Un inetto era il primo titolo cui aveva pensato l’autore per questo scritto e non può sfuggire l’assonanza di questo aggettivo con il cognome Nitti del protagonista.

Nel romanzo di Svevo, oltre all’aspetto psicologico, è presente un’attenta analisi sociale. L’autore, la cui esperienza di impiegato di banca possiamo sovrapporre a quella di Alfonso Nitti, parla di due mondi divisi da un confine invalicabile. Alfonso tenta l’impresa, quella di farsi spazio in un universo che gli è estraneo. Cerca di costruire un rapporto con la giovane Annetta, figlia di un banchiere, figura legata all’alta borghesia capitalista. Ne esce però sconfitto, abbandonato di fronte alla solitudine, al disprezzo e alla morte. Ritroviamo in questo un tema caro ad uno dei più grandi esponenti del Verismo, Giovanni Verga. La fine di Alfonso Nitti è tragica come quella di Mastro Don Gesualdo. Sia il personaggio sveviano che quello verghiano vengono puniti dalla società per aver cercato, in modi e con intenti del tutto differenti, di uscire dall’isolamento piccolo borghese e agganciarsi ai ceti emergenti di fine Ottocento.

Al di là dell'argomento sociale, è tuttavia quello dell’inettitudine il fulcro del romanzo. Svevo infatti costruisce un personaggio che vive continuamente in bilico tra la voglia di affermazione, la consapevolezza della propria superiorità nei confronti del volgare mondo esterno e la propria innata incapacità di azione, lo sconforto che essa comporta. Alfonso farà continui progetti di rinascita buttandosi sulla composizione di opere filosofiche e letterarie, su uno studio assiduo in grado di distrarlo. Purtroppo, però, egli resterà sempre uguale a se stesso e la vita non lo porterà a nessuna maturazione. Anche il gesto finale di ribellione, il suicidio, l'unico momento nel quale Alfonso sembra assumere le sembianze dell’eroe, si trasforma in un dovere eseguito stancamente. La scelta suprema si riduce così ad un compito svolto meccanicamente, come quelli che ogni giorno il protagonista esegue nella banca Maller.

Svevo crea quindi un antieroe che, portando avanti le proprie difficoltà in un ambiente del tutto ostile, giunge al compimento di un gesto tragico. Nonostante lo scarno intreccio e la prosa spesso troppo asciutta, la novità più importante del romanzo d’esordio di Italo Svevo sta proprio nell’invenzione del suo sfortunato protagonista. La capacità di creare personaggi come Alfonso Nitti (Emilio Brentani in Senilità e Zeno Cosini ne La coscienza di Zeno) colloca Svevo tra i grandi della letteratura europea.



Torna su...

Un nuovo romanzo : “Senilità”
Nato dalla mente e dall’ingegno intenso di Italo Svevo, “Senilità” si pone cronologicamente al centro di un’importante trilogia, seguendo Una vita (1892) e precedendo La coscienza di Zeno (1923).Pubblicato per la prima volta nel 1898 a spese dell’autore, il romanzo andò incontro ad un triste insuccesso e all’indifferenza della critica. Fu Joyce che nel 1927, dopo aver dichiarato pubblicamente il suo sincero apprezzamento per questo libro, ne decretò il trionfo, facendo sì che esso fosse assurto a capolavoro.

Nel tratteggiare l’ambiente triestino, in cui la vicenda è ambientata, Svevo dà vita ai corpi e alle figure dei quattro personaggi centrali del romanzo: Emilio Brentani, Stefano Balli, Angiolina e Amalia. A tutti gli altri, che casualmente entrano nella vicenda, l’autore lascia il semplice ruolo di comparse. Tutto ciò che egli trascura di descrivere, come i fatti esteriori o gli ambienti sociali e fisici, ha poco peso nella narrazione, poiché quest’ultima è essenzialmente rivolta all’indagine psicologica e all’introspezione dei protagonisti.

Dal punto di vista sociale Emilio è un intellettuale piccolo; dal punto di vista psicologico, invece, egli è un inetto, un debole, un uomo che mente a se stesso pur di non scoprirsi infelice. Emilio si difende dal mondo che lo circonda riparandosi entro le mura domestiche e sotto le ali protettrici di Amalia, una sorella che è, allo stesso tempo, anche una figura materna. Da vile e incapace qual è, Emilio sogna l’uscita dal nido e il godimento dei piaceri della vita e, quando finalmente nella sua esistenza appare Angiolina, una bionda dagli occhi azzurri grandi, alta e forte, ma snella e sciolta, con il volto illuminato dalla vita, in lei vede raffigurati i simboli della completezza vitale e della stessa salute fisica. Tuttavia, sarà proprio nel rapporto con Angiolina che emergerà l'inettitudine e l'immaturità del protagonista.

Nonostante tutto, Emilio prova una forte paura nei confronti dell’amore e della donna, tanto da giungere a elevarla in figura angelica e pura, dalla quale invece Angiolina, superficiale, vanitosa e bugiarda, è infinitamente lontana. A contrastare la figura di Emilio è quella di un amico, Stefano. Questi è ciò che Emilio non ha il coraggio di essere: un uomo forte, dominatore, certo di sé, presuntuoso ai limiti della sopportazione. A dividerli, vi è solo il modo di porsi nei confronti della vita: mentre Emilio reagisce con una sorta di vittimismo di fronte agli eventi, Stefano cerca di mascherare i propri limiti lasciandosi trasportare dall’illusione d'onnipotenza.

La storia ha quindi come fulcro il rapporto sentimentale tra Emilio e Angiolina. In Senilità l’attenzione è però puntata sul pensiero di Emilio: raramente il punto di vista è quello di Amalia o Stefano e mai quello di Angiolina. Il linguaggio di Emilio non è quello di Svevo, come a molti verrebbe da pensare, ma il vero e proprio modo d’esprimersi di Emilio stesso, che usa frasi esagerate, talvolta patetiche, insieme sentimentali e banali.

Così come Emilio nasce, muore. In effetti, la struttura del romanzo è assolutamente circolare: egli non impara nulla dalla vicenda, resta l’inetto, incapace, fragile e immaturo uomo che Svevo accanitamente critica. E così Stefano torna alla sua vita non frequentando più Emilio, Angiolina fugge con un banchiere ed Amalia muore, avvelenandosi con l’etere per non essersi mai riuscita a dichiararsi a Stefano, di cui era innamorata. E ad Emilio Brentani, rimasto chiuso in una senilità precoce, non resta che guardare al passato, come un vecchio alla propria gioventù; da qui il titolo Senilità.



Torna su...

Il capolavoro : “La coscienza di Zeno”
“La coscienza di Zeno” è, senza dubbio, il romanzo più maturo di Svevo, il suo capolavoro, un’opera veramente nuova ormai fuori da ogni influenza narrativa; infatti il romanzo è tutto incentrato sull’autoanalisi psicologica del protagonista. La narrazione infatti si riduce a un lungo monologo interiore, sul filo di un discorso che il protagonista fa con se stesso rievocando, quando ormai vecchio, le fasi salienti della sua vita.

Il romanzo, scritto nel 1923 dopo venticinque anni di pausa dopo Senilità, si presenta come la confessione di Zeno Cosini, scritta per aiutare il suo psicanalista a curarlo. La narrazione, svolta in prima persona, si articola in alcuni punti fondamentali della sua vita, che sono: “Il fumo”, “La morte del padre”, “La storia del matrimonio”, “La moglie e l’amante”, “Storia di un’associazione commerciale” e “Psicoanalisi”. A scrivere l’autobiografia è Zeno Cosini, un ricco commerciante triestino a riposo, che si affida al suo medico per un trattamento psicanalitico con lo scopo di comprendere meglio se stesso e di guarire da quella forma di accidia e di pigrizia che gli indolenzisce lo spirito e lo rende incapace di agire. Svevo immagina che, essendo scomparso il suo cliente, il dottore pubblichi per dispetto le memorie di lui.

Nella “Prefazione” del libro a parlare è il dottore che seguì Zeno; in poche righe, il dottore scrive che la pubblicazione del libro è dovuta proprio al fatto che lui volle vendicarsi del suo paziente, Zeno Cosini, perché lui, quando le cure iniziarono ad essere efficaci, decise di lasciare i trattamenti, ferendo l’orgoglio professionale del dottore.

Nel “Preambolo”, Zeno ricorda i suoi ricordi d’infanzia, che saranno utili al proseguimento del trattamento psicanalitico.

Nel capitolo “Il fumo”, il protagonista parla della sua malattia del fumo, narrando fatti che coprono tutta la sua vita. Oltre all'inettitudine, il suo grande problema è il vizio del fumo, del quale non riesce a liberarsi. Il protagonista infatti, che già nell'adolescenza aveva iniziato a fumare a causa di un rapporto conflittuale con il padre, nonostante più volte si sia riproposto di smettere, non vi riesce e per questo si sente frustrato. I tentativi si moltiplicano, e anche gli sforzi, ma il problema non viene risolto. Ogni volta che prova a smettere di fumare, Zeno decide di fumare un’ultima sigaretta e di annotare la data di questa; dopo numerosi fallimenti Zeno si rende conto che fumare "ultime sigarette" è per lui un'esperienza piacevolissima, in quanto quelle assumono ogni volta un sapore diverso, causato dalla coscienza che dopo quella, non potrà fumarne più.



Nel capitolo “La morte di mio padre”, Zeno rievoca il rapporto conflittuale con suo padre, con particolare importanza data ai suoi ultimi giorni di vita. La relazione è stata deviata dall'incomprensione e dai silenzi; il padre non ha alcuna stima del figlio, tanto che, per sfiducia, affida l'azienda commerciale di famiglia ad un amministratore esterno, l'Olivi. A sua volta il figlio, che si ritiene superiore per intelletto e cultura, non stima il padre. Il più grande dei malintesi è l'ultimo, che avviene in punto di morte: quando il figlio è al suo capezzale il padre, ormai incosciente, lo colpisce con la mano e Zeno non riuscirà mai a capire il significato di quel gesto: quello schiaffo gli fu assestato allo scopo di punirlo o fu soltanto una reazione inconscia del padre ammalato? L'interrogativo produrrà un dubbio che accompagnerà il protagonista fino all'ultimo dei suoi giorni. Alla fine Zeno preferisce ricordare il padre come era sempre stato: "io divenuto il più debole e lui il più forte".

Nel capitolo “La storia del mio matrimonio”, Zeno parla delle vicende che lo portano al matrimonio. Il protagonista conosce quattro sorelle, le figlie di Giovanni Malfenti, con il quale Zeno ha stretto rapporti di lavoro e per il quale nutre profonda stima, al punto che lo vedrà come una figura paterna dopo la morte del padre. La più attraente delle figlie è la primogenita, Ada: a costei il protagonista fa la corte, ma il suo sentimento non è ricambiato, perché ella lo considera troppo diverso da lei e incapace di cambiare. Anche dopo il rifiuto, Zeno è sempre attratto dalla sua bellezza esteriore ed interiore. Tuttavia, ormai deciso a chiedere in sposa una delle sorelle Malfenti, si dichiara ad Alberta che ugualmente lo respinge; dato che l'ultima, Anna, è ancora una bambina, egli finisce per sposare Augusta, la seconda delle sorelle Malfenti, delle quattro la donna che meno gli piaceva. Nonostante questo il protagonista nutrirà sempre per lei amore, anche se ciò non gli impedirà di stringere una relazione con un'amante, Carla. Augusta costituisce nel romanzo una figura femminile dolce, tenera, che si prodiga per il proprio marito: è la figura materna che Zeno cercava.

Nel capitolo “La moglie e l’amante”, Zeno racconta del suo conflittuale rapporto con la sfera femminile, tanto da arrivare anche alla ricerca dell'amante: Zeno accenna a tale esperienza come un rimedio per sfuggire alla “noia della vita coniugale”. Quella con Carla Gerco è un'avventura “insignificante”; lei è solo una “povera fanciulla”, “bellissima”, che inizialmente suscita un istinto di protezione. Tuttavia quella che in principio appariva come una relazione basata sul semplice desiderio fisico si trasforma successivamente in una vera e propria passione. Anche Carla subisce dei cambiamenti: dapprima insicura, diventa una donna energica e dignitosa che finisce coll'abbandonare il suo amante. Zeno non smetterà mai di amare la moglie Augusta che ha per lui un atteggiamento materno, comunicandogli sicurezza mentre, verso la conclusione del suo rapporto con Carla, maturerà per quest'ultima uno strano sentimento che si avvicina all'odio.

Nel capitolo “Storia di un’associazione commerciale”,Zeno narra della sua incapacità di gestire il proprio patrimonio, e di quando viene pregato da Guido di aiutarlo a mettere in piedi un'azienda. Anche Guido, peraltro, è un inetto, e incomincia, per ignoranza, a sperperare il suo patrimonio, mentre Zeno ha la soddisfazione di essere incaricato da Ada di aiutare e proteggere il marito. Guido infatti, dopo un'ennesima perdita, simula un tentativo di suicidio, per indurre la moglie a finanziare con la propria dote. Più tardi, ritenterà il colpo astuto, ma, per un banale giuoco della sorte, si ucciderà davvero. Zeno, che impegnato a salvarne, per quanto è possibile, il patrimonio, non riesce a giungere in tempo al suo funerale, è accusato da Ada, divenuta nel frattempo brutta e non più desiderabile per una malattia, di avere in tal modo espresso la sua gelosia, il suo malanimo verso il marito.

Nel capitolo “Psicoanalisi”, racconta i sei mesi di terapia inutile e mostra tutto il suo risentimento verso la presunzione del dottore, che lo dichiara guarito quando in realtà ha aggravato la sua malattia. Perciò Zeno nega ogni validità del metodo psicoanalitico. Ma alla fine, egli arriva alla conclusione che la vita attuale è “inquinata alle origini” dalla corruzione, dall’ipocrisia, dall’egoismo, dalla mancanza di freni morali derivante dalla frenesia produttivistica della società capitalistica, spinto fino alla fabbricazione di ordigni esplosivi di inaudita potenza, capaci di provocare la catastrofe cosmica. Secondo Zeno, si arriverà ad un sovraffollamento di persone, alla capacità dell’uomo di modificare il suo corpo, esternamente e con le armi, come fanno gli animali per abituarsi al mondo, e al punto in cui un uomo, chiuso in una stanza in questo mondo, creerà un ordigno incredibilmente potente, che posizionerà al centro della Terra, dove il suo effetto potrà essere il massimo; ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornerà alla forma di nebulosa iniziale.

La malattia di cui Zeno soffre è analoga a quella di Alfonso Nitti e di Emilio Brentani: è “l’inettitudine a vivere” e ad adattarsi al mondo esterno. Una differenza notevole è che a differenza di Nitti e Brentani, che sono dei piccoli borghesi, battuti dalla società perché manca loro quella spregiudicatezza necessari per uscire vincitori dalla lotta, Zeno Cosini appartiene invece alla ricca borghesia, a cui per una serie di fortunati eventi, come la guerra, va tutto bene. Infatti egli si arricchisce sempre più comprando e vendendo senza scrupoli, mentre a pochi chilometri di distanza si combatte e si muore. Il successo gli dà un senso di euforia e l’impressione di essere guarito; Zeno comprende che i “malati” sono coloro che si lasciano prendere dagli scrupoli, mentre i “sani” sono quelli che vivono la loro esistenza senza scrupoli.



Torna su...